L’eloquente silenzio della pittura

di Silvia Evangelisti

 

 

Pittore appartato e segreto, Carlo Cola ha una vicenda espositiva, iniziata alla fine degli anni ’80, scandita da rare mostre (da segnalare l‘”avventura” a Dubai, negli Emirati Arabi, la cui atmosfera ha ispirato alcune tra le più affascinanti opere esposte in mostra); ed è la prima volta che il pittore romagnolo si presenta al pubblico con una così ampia scelta di opere. Ė dunque un’occasione preziosa, la rassegna milanese, per conoscere l’arte di questo singolare pittore, per incontrare le magiche e silenti atmosfere dei suoi dipinti, dalla cromia calda e particolarissima.

In un gioco cromatico luminoso e inconsueto, i suoi quadri ci raccontano della fascinazione che su di lui (e su di noi) esercita il dipingere, mestiere segreto e misterioso, occhio spalancato sulle cose del mondo, che l’artista vuole conoscere nel loro profondo silenzio, nella “normalità” della vita che scorre, usando, come unico strumento, il colore, un colore pastoso e intriso di luce, dalle tonalità insolite e dalle cromie forti e vitali di viola, lilla, arancione, giallo squillante, verde, turchese, azzurro. Medium privilegiato e meraviglioso, la pittura può creare universi, atmosfere, sensazioni: attraverso le forme e i colori può farci vedere le cose in modo nuovo, diverso; e ciò è ancora più affascinante se i soggetti sono – in sé – consueti, conosciuti, anonimi. Ė questa la magia della pittura. “Non vi è arte più manifestamente creatrice della pittura” scrive il filosofo francese Gaston Bachelard; “Come ogni creatore, prima dell’opera, il pittore conosce la fantasia mediante la rêverie che si raccoglie intorno alla natura delle cose.”

Il termine rêverie, difficilmente traducibile in italiano, col suo significato di fantasticheria, sogno, immaginazione fantastica – quell’abbandonarsi a occhi aperti, dimentichi della logica e della razionalità, a memorie ed immagini del presente con la libertà del sogno – mi sembra particolarmente appropriato per i dipinti di Carlo Cola, per quel suo modo di rappresentare la realtà in maniera fedele ma quasi trasfigurata, come se dalle cose emanasse una sottile sensazione poetica di sogno, di fantasia, che diviene il mezzo attraverso cui l’artista ci trasmette le sue emozioni, la sua personale ed intima visione del mondo.

L’arte di Carlo cola ha un sottile fascino che va oltre l’effetto della rappresentazione – i suoi, d’altra parte, sono soggetti “comuni” e normali – per evocare nella nostra mente, ma sopratutto nei nostri occhi, un’atmosfera particolarissima, trasformandoci da spettatori distanti in protagonisti privilegiati della visione. Quasi che attraverso gli occhi dell’artista noi vedessimo ciò che lui vede, come se partecipassimo dall’interno a quella sorta di mondo parallelo che Cola rappresenta nei suoi dipinti: un mondo del tutto simile a quello che conosciamo e che vediamo intorno a noi – interni di stanze, biblioteche, chiese o quieti paesaggi, ville e architetture immerse in giardini – eppure come straniato e quasi indecifrabile, sospeso nel tempo. E questo solo per mezzo della pittura. Un mondo che vive a fianco di quello “normale”, con il quale condivide l’immaginario e i principi figurativi, ma dal quale si discosta per forza di immaginazione – per rêverie, si diceva – che la pittura concretizza in immagine tramite segni, forme, colori.

I soggetti sono ritratti con una pittura veloce e nervosa che, seppure non ricalca con fedeltà la verità ottica della realtà, ne evoca la visione “complessiva”, pur mettendone in discussione le regole statuarie, a cominciare da quelle prospettiche. I tagli obliqui, le inquadrature “dilatate”, le profondità spaziali volutamente e quasi scenograficamente calcate insinuano, nelle scene dipinte, un senso di silenzio, di attesa che pare mettere in crisi la certezza dell’immagine, la sua ipotetica inalterabile verità. Protagonista dei dipinti è la luce, intensa e “assoluta”, che invade la tela con la forza e l’energia di una fonte di vita: una luce-colore che taglia come una lama la superficie del dipinto, rendendo “pulsante” la rappresentazione e trasformando gli oggetti stessi.  E nella magica sospensione di un’ora luminosa, di una visione quieta e calma, il reale si ricompone con armonia di forme e colori 

Un mondo parallelo dunque, che, pur nella perfetta verosimiglianza, non “funziona” esattamente come quello reale: prospettive imperfette, punti vista multipli, campi lunghi. I dipinti di Cola sono caratterizzati da un taglio particolare della visione, che reinventa lo spazio della tela e vi immette una nuova dimensione, quella del tempo. Non l’attimo impressionista, ma piuttosto il tempo “lungo” di un fotogramma, l’immagine bloccata di momenti di vita fermati dall’artista, che guarda la realtà come se assistesse ad una rappresentazione teatrale. E quasi come un fondale scenografico, l’artista dipinge il mondo come un palcoscenico su cui – ancora – gli attori sono assenti, ma in procinto di iniziare la loro rappresentazione. Come se la vita fosse, per il pittore – e l’osservatore – oltre un diaframma, al di là di un immaginaria finestra dalla quale guardare la scena del mondo. E d’altra parte il tema della finestra è ricorrente nelle opere di Carlo Cola: la finestra da cui entra la luce del sole, come un taglio di colore; la finestra che apre sull’esterno, sul verde, sull’aria, sulla vita. Così come il tema della porta, spesso presente nei suoi interni, sovente semiaperta, ad indicare altre stanze, altri mondi, altre vite.

Non si sente, in questi dipinti, nulla che appartenga ad un’idea di dramma; a volte, semmai, una sorta di lieve inquietudine, sottolineata dall’assenza della figura umana. I quadri di Cola non sono, infatti, mai visivamente abitati, eppure – ne siamo certi – qualcuno abita quelle stanze, quelle case, quegli atelier; qualcuno frequente quelle chiese, quelle biblioteche; qualcuno sale e scende quelle scale, apre quelle finestre, si affaccia a quei balconi di cui si indovina l’esistenza; qualcuno è appena uscito da quelle porte semiaperte, qualcuno sta per entrare. Si assiste alla scena del dipinto come ad una rappresentazione teatrale che sta per iniziare, ed il pittore sembra evocare quel lieve stato di inquietudine, di attesa, che si vive nel breve tempo in cui, alzato il sipario, il palco è pronto a ricevere gli attori che ancora non sono entrati in scena: tutto è silenzioso e fermo, in attesa dell’azione.

Ecco allora, per esempio, le case dei pittori: casa Chagall, casa Picasso, l’atelier di Francis Bacon; stanze che l’artista non ha mai visto dal vero, conosciute attraverso qualche immagine fotografica, che rivivono nelle sue opere come luoghi reali ed immaginati al tempo stesso, dove la naturale confusione di un atelier diviene metafora del lavoro dell’artista, la cui presenza è evocata dagli oggetti – strumenti del mestiere, libri aperti, carte, modelli – come se l’abitante di quelle stanze fosse uscito un attimo, interrompendo il lavoro solo per pochi momenti, e fosse lì lì per tornare. Ė questa sensazione della presenza, pur nell’assenza fisica, che differenzia irrimediabilmente le raffigurazioni di Cola dall’immagine fotografica che pure, spesso, ne è il punto di partenza, lo spunto. E ciò avviene in molti dei suoi dipinti, persino nel curioso quadro che ritrae un “Missile” – inconsueto soggetto – dove il razzo è rappresentato nel momento della partenza; eppure tutto è fermo nel dipinto, quasi fosse il fermo-immagine di un filmato, e l’azione da reale diviene quasi metafisica.

Così pure negli “esterni”, vedute di giardini, ville, case, ripresi spesso nelle ore del tramonto, quando il sole sprigiona la sua ultima luce obliqua e le ombre già avanzano (Ponte inglese, Lisbona, Monastero di Ponteleimon  , Isola Santa, Case indiane, Tramonto in Italia per citare qualche titolo come esempio). Dipinti in cui natura e immaginazione vivono in magico intrico, creando un’atmosfera silente, sospesa: luoghi costruiti e abitati dagli uomini, ma rappresentati nell’assoluta solitudine. E della presenza umana sono solo le tracce nei panni stesi ad asciugare all’aria, nelle persiane aperte delle case di uno scorcio urbano, in una finestra illuminata.

Silvia Evangelisti

Pubblicato per l’esposizione “IN VIAGGIO” di Carlo Cola. Catalogo ART’ Ė 2002, MILANO